Made in Italy: una strada in salita

Il punto, ovviamente, non è se l’ingegno e la produzione italiana siano o meno un valore. Ci sono assiomi e credi, ed il made in Italy, nel design e nella moda almeno, sono tra i dogmi internazionali.

Noi nel made in Italy ci sguazziamo, ma a dirla tutta il marchio di fabbrica è una strada in salita.

La pendenza da Giro d’Italia l’abbiamo sperimentata con la costituzione della Project42 srl: poco meno di una gravidanza, molto di più dell’estrazione di un molare. Parliamo di cose come il PIN dell’agenzia dell’entrate, per intenderci.

Tuttavia la vera difficoltà non è nel rush, ogni sportivo, anzi ogni faticatore, lo sa. È la tenuta, il lavoro costante, lo sforzo continuativo di resistenza che logora il sogno di tagliare il traguardo. Nel nostro caso è l’acquisto dei tessuti greggi. La qualità si paga, il lavoro correttamente retribuito e protetto si paga, la burocrazia si paga. Ma perché i quantitativi minimi inarrivabili? Perché il sovrapprezzo punitivo?

La filiera tessile italiana ha patito, e ancora subisce, una concorrenza iniqua, sconta il peso di un sistema paese poco audace, ed ha voltato le spalle alle start up. È semplicemente irraggiungibile.

Noi sguazziamo nel made in Italy e non possiamo acquistare tessuti realizzati su filo coltivato in Italia. Non possiamo contribuire al mantenimento di un tesoro nazionale, il processo produttivo tessile italiano. Disegniamo, stampiamo, produciamo in Italia. Dalla Sicilia alla Lombardia. Dalla capitale alla provincia.

Eppure ad ogni fiera tessile restiamo fuori dagli stand di produzione italiana, amareggiate e avvilite, per essere accolte entusiasticamente da produttori portoghesi e spagnoli, da distributori tedeschi. Realtà che ci permettono di accedere ad una qualità eccellente, di selezionare tra diverse texture, di esaminare palette colori e fare ordini su misura. La nostra piccola misura che sogna in grande.